Il talento di Raffaella Carrà

Con lei se ne va la Belle Époque di una tv che non tornerà più. Il suo sorriso rimane con noi, immagine di una bellezza perduta ma impossibile da dimenticare. E allora grazie, Raffaella.

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Se avessi avuto modo di intervistarla, le avrei chiesto soltanto una cosa: che definizione darebbe del talento.

Perché Raffaella Carrà, all’indomani della morte, così inattesa, inaspettata, improvvisa, non spiattellata nel tritacarne del gossip (che garbo! Che stile!), ci ha lasciato – tra i tanti – un unico, grande insegnamento: il talento va coltivato giorno dopo giorno.

Attrice, cantante, conduttrice, showgirl, 40 anni di grande mestiere, di professionalità dispensata senza mai una caduta di stile, di fervida dedizione al lavoro, meticolosa. Lei stessa sorrideva (e quella risata! Ah quanto ci mancherà!) quando la definivano “zarina” , una stakanovista sul lavoro.

Da Maga Maghella a Milleluci, da Domenica In al mezzogiorno coi fagioli, fino alle carrambate: sempre ad inventare e reinventarsi, estremamente nazional-popolare (nella sua accezione più pulita) senza mai essere volgare, senza aver mai bisogno di urlare o di piegarsi ad un contesto televisione che mutava velocemente verso la deriva trash. Troppo il talento e la classe per cadere in quella trappola.

Non sbagliano i tanti colleghi che l’hanno definita una icona: chiedere a Maria De Filippi intervistata proprio dalla Carrà nell’aprile del 2019 nel corso dell’ultimo programma condotto, quel “A raccontare comincia tu”, gioiellino andato in onda su RaiTre che avrebbe dovuto riprendere con un nuovo ciclo di interviste dopo la pausa covid.

“Sai come mi chiama la gente? La Carrà. Perchè te invece sei solo Maria?”. Una domanda all’apparenza banale quella posta dalla Raffa nazionale, ma che racchiude in realtà l’essenza di queste due donne: come spiega Maria, la Carrà viene considerata come una creatura di un altro pianeta, un’icona; lei, invece, si reputa la classica ragazza della porta accanto, molto più popolare. “Sei per la televisione quello che io non riuscirò mai ad essere”, aggiunge Maria.

Raffaella Carrà è stata protagonista di una televisione che lei stessa ha contribuito a cambiare nelle mode e nelle dinamiche. Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70, il suo Tuca Tuca con l’immenso Alberto Sordi ha rappresentato il punto di rottura tra l’ingessata tv degli albori ed una dirompente novità che gli spettatori colsero da subito.

Ad inquietare le notti dei severi censori fu quell’ombelico nudo di Raffaella. Ma attenzione: fu un erotismo pulito, rigorosamente in bianco e nero, che non aveva bisogno di lezioni morali, libero, indipendente e femminista che precedette di anni l’intervento del legislatore sul diritto di famiglia (delitto d’onore, divorzio, ect.).

Proprio lei, cresciuta con due donne fu capace di alimentare quel moto collettivo di “ribellione” che ha attraversato molte generazioni. Dietro a quei brani leggeri e super orecchiabili, in Italia e oltreoceano quel caschetto biondo ha portato in giro la leggerezza e la libertà, l’amore come risposta ad ogni discriminazione.

Il termometro della popolarità della Carrà lo abbiamo visto esplodere attraverso il commosso e unanime cordoglio sulle pagine social. Forse solo per Alberto Sordi e in tempi più recenti per Fabrizio Frizzi ricordo un identico affetto, avulso da quella insinuazione fatta di se e di ma che abitualmente accompagnano le dipartite dei personaggi dello showbiz.

E il silenzio con cui la Carrà se ne è andata è solo l’ultimo gesto autentico di una donna di cui sentiremo ancora a lungo la mancanza. Con lei se ne va la Belle Époque di una tv che non tornerà più. Il suo sorriso rimane con noi, immagine di una bellezza perduta ma impossibile da dimenticare. E allora grazie, Raffaella.

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