Dante e il papa goloso: le anguille di Bolsena annegate nella Vernaccia

Rilettura in chiave enogastronomica dal Purgatorio, con riferimenti al tormentato rapporto di Dante con i papi e la Chiesa di Roma

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1736
Uno scorcio del Lago di Bolsena, dal lungolago della cittadina omonima
(e quella faccia) …
21            di la da lui più che l’altra trapunta
               ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
            dal Torso fu, e purga per digiuno 
24          l’anguille di Bolsena e la vernaccia. 

 

Rilettura dantesca tra serio e faceto. Oggi, Dantedì 2021, a pochi mesi dalla ricorrenza del 700° anniversario della morte del Sommo Poeta, proviamo ad immergerci nella lettura di uno dei canti più significativi della seconda cantica della Divina Commedia.

Dal Purgatorio, Canto XXIV, è tratta la terzina sulla quale aprire il focus enogastronomico di oggi. Un momento singolare della Commedia, in cui ritroviamo tra i penitenti forse l’unico papa di cui Dante non abbia citato misfatti tali da relegarlo all’Inferno. E’ il francese Martino IV, al secolo Simon de Brion, cardinale e tesoriere della diocesi di Tours.

Peccatore di gola e noto per essere amante della buona tavola. Successore di papa Orsini, il Niccolò III incluso da Dante nella bolgia infernale dei simoniaci (Canto XIX) e morto nel 1281 nel momento in cui la famiglia Orsini era all’apice del successo e puntava alla conquista della Toscana.

Siamo a pochi versi dalla profezia che Dante riceverà sulla morte imminente del suo acerrimo nemico, Corso Donati. E’ appunto in tale frangente che, tramite l’amico poeta Forese Donati, fratello del capo della fazione Nera dei Guelfi fiorentini che esiliò Dante a vita, il racconto si cala nel contesto storico a loro contemporaneo.

Corso Donati, la cui sorella Piccarda sarà invece l’apparizione a Dante nel primo cielo del Paradiso, domina la scena politica della guelfa Firenze dell’epoca. Divisa tra neri e bianchi, cui apparteneva lo stesso Dante, la città toscana è nelle mire del papato per espandere il dominio di Roma al centro Italia.

Gli Orsini, con l’allora pontefice Niccolò III, puntavano ad allargare l’influenza del papato dopo che il re francese Carlo d’Angiò, nonchè re di Napoli, giunse al termine del suo vicariato imperiale su Firenze.

Dante Alighieri non ebbe mai un buon rapporto con la Chiesa. Molti papi li cita nell’Inferno, dal celebre Celestino V del “gran rifiuto” (Canto III) alla bolgia dei simoniaci (Canto XIX) dove relega pontefici del calibro di Bonifacio VIII, Clemente V e appunto Niccolò III.

Papa Martino IV

Al pontificato di Martino IV da Tours (1281-1285) seguente a quello di Niccolò III, però, Dante non ritorna tanto per motivi politici. Più che altro è la golosità ad essere in qualche modo causa della sua penitenza. Il Purgatorio, nel canto citato, parla di una surreale ricetta dell’epoca medievale.

Un pasto così caro al papa francese da essere ricordato nei versi danteschi con due riferimenti enogastronomici: le anguille della città lacustre di Bolsena ; e la Vernaccia, vino bianco che oggi rientra nella Docg di San Gimignano, in Toscana, fra i più pregiati bianchi del centro Italia. Le sue origini sono dibattute, tanto da farne provenire il nome dalla città ligure di Vernazza, nel Parco della Cinque Terre.

Il Lago di Bolsena, nella Tuscia, è ai confini del Lazio. Il pesce d’acqua dolce, evidentemente, doveva essere una prelibatezza già ai tempi di Dante e del papa Martino IV. L’usanza di annegare le anguille del lago nel vino vernaccia prima di arrostirle era a quanto pare il peccato di gola che il sommo poeta della nazione “imputa” al pontefice, prima di imbattersi nella profezia sulla fine di Corso Donati.

Ma Bolsena e il territorio circostante il lago omonimo sono celebri anche per un altro vino bianco: il leggendario Est Est Est di Montefiascone, cui si lega il triplice placet del papa Pasquale II nel 1111. Bolsena stessa è scenario da tempo di una delle più belle infiorate del Corpus Domini in Italia, nel mese di giugno. Ma questa è un’altra storia…

Nel successivo Canto XXV del Purgatorio, peraltro, viene fatto riferimento al vino nella terzina in cui, metaforicamente, emerge il culto classico della natura con richiami al poeta latino Stazio. Ed a chiusura di questa incursione enogastronomica nell’universalità di Dante, ne citiamo dunque la terzina, proseguendo la nostra digressione nel Dantedì :

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