La Pizza. Una storia contemporanea: segreti, aneddoti, tecniche ed opinioni

Appassionante excursus storico con il giornalista Luciano Pignataro, autore del libro presentato a Sorrento

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Con Luciano Pignataro (in foto da sinistra) Carmen Davolo, giornalista ed ufficio stampa Basilico Italia, e (da destra) Antonino Siniscalchi, giornalista, con Gérôme Bourdezeau, Chief Strategical Officer presso Basilico Italia

Lo abbiamo raccontato proprio ieri sera, in diretta social, parlando della presentazione del libro intitolato ‘La Pizza. Una storia contemporanea’ di Luciano Pignataro (Hoepli editore, 2018). Attorno alla pizza ruotano ancora oggi tante storie, tante versioni e correnti di pensiero. Dalla visione originaria ed integralista, ovviamente napoletana come quella – ricordiamolo – la cui arte è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco soltanto un anno fa; alla visione per così dire… resto del mondo (o forse d’Italia, visto che le scuole di pizzeria alternative a Napoli vengono fuori proprio da Roma e da altre regioni del Bel Paese). Ma la diatriba sulla migliore pizza in assoluto, senza scontentare nessuno nè esaltare illegittimamente i soliti noti, potrebbe andare avanti all’infinito.

Una panoramica sulle varie scuole e sulla storia della pizza, dal Regno di Napoli a oggi, dall’Ottocento alla moderna concezione della lievitazione da forno, è stata offerta nel corso dell’incontro dibattito tenutosi davanti ai forni accesi di Basilico Italia, nuovo brand della pizza che va affermandosi a partire dalla cittadina di Sorrento. Proprio qui, spalle alla scia di calore emessa dai forni cosiddetti “a bocca di luna” come erano in origine a Napoli, l’autore del libro Luciano Pignataro (noto giornalista blogger enogastronomico) ha rivelato alcuni aneddoti inseriti nel suo ultimo testo. Un’opera descrittiva, illustrata, frutto di paziente opera di assaggio e di studio, di confronto fra le varie pizze e locali attivi nel mondo. Poi la singolare disputa su quale pizza debba esser ritenuta la migliore, dopo le dichiarazioni del presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis – riportate dal giornalista Antonino Siniscalchi (il Mattino) in sede di presentazione del suo collega – circa la presunta superiorità della pizza romana rispetto a quella della “sua” città.

Anche qui si potrebbe aprire un dibattito infinito, tra i sostenitori della pizza napoletana integralista, che si piega “a portafoglio” o “a libretto”, dunque morbida e saporita ed all’opposto i fautori della croccantezza tipica della pizza romana, esaltata niente meno che dal patron azzurro e re del cinepanettone. Questione di gusti, come rimarcato dallo stesso Pignataro: questione di cottura e di tempo di permanenza del disco in forno; questione di tecnica, a seconda che gli ingredienti caratterizzanti vengano apposti sul disco di pasta e mozzarella all’uscita dal forno o in fase di cottura; questione di idratazione, poichè al di sopra del classico minuto e mezzo napoletano l’acqua e farina della base evaporano facendo perdere idratazione alla pasta dandole croccantezza; questione di luoghi, di stesura del panetto e di tradizioni.

Poi la storia, citando il borgo di Tramonti in costiera amalfitana, il Veneto, le pizzerie nate a New York (città simbolo di uno Stato, gli USA, dove attualmente si consuma pizza in quantità dieci volte superiori all’Italia, sua patria).

Negli ultimi 50 anni lo scettro del potere di Napoli non è mai stato messo in discussione, se non agli inizi della sua avventura dalla celebre Pizza a metro alias “da Gigino – l’università della Pizza” di Vico Equense (che ha appena festeggiato i suoi 50 anni di storia). L’unica a detta dell’autore del libro ad aver messo in crisi Napoli e la sua morbidezza, con la totale novità e particolarità di sapori e ingredienti, nonchè tecnica di cottura.

Da Pignataro una chiusura dal taglio moderno, anzi contemporaneo…come recita appunto il titolo del libro, parlando del cornicione. Da una parte la scuola dei “canottisti” – ovvero quei pizzaioli che con particolare tecnica di lievitazione creano un cornicione spesso, gonfio, come un canotto appunto, ma vuoto al suo interno, digeribile e gustoso; dall’altra quella dello “schiaffo” – ossia la metodologia di impasto che prevede appunto lo schiaffo del pizzaiolo al disco di pasta una volta steso e lavorato.

Il tutto, naturalmente, con la massima trasparenza, con forni e pizzaiolo ben visibili dai tavoli. La pizza come arte tramandata da secoli, di padre in figlio, e raccontata finalmente in un interessante excursus storico da una delle voci più autorevoli nel settore.

Buon appetito… e buon Natale a tutti !!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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